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QUADERNI DEL MUSEO DI STORIA QUARNESE
 
 

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Daniele Scanziani
 
 

L'OBOE NELLA STORIA DELLA MUSICA

EVOLUZIONE TECNICA E POTENZIALITÀ' ESPRESSIVE
 
 
 
 

 

Storia dell'Oboe  e caratteristiche tecniche

Lo strumento

Storia dell’oboe

Le prime testimonianze sull’utilizzo di strumenti a fiato che, per certi aspetti, possiamo considerare come i lontani progenitori dell’oboe le ritroviamo nelle raffigurazioni pittoriche, nei reperti archeologici e nelle fonti letterarie di tutte le antiche civiltà. Questi strumenti erano costituiti normalmente da una doppia canna, con fori su entrambe le canne, e possedevano un’imboccatura con ancia incapsulata (che non permetteva, cioè, il contatto diretto delle labbra dell’esecutore sull’ancia). Pur presentando evidenti similitudini nella struttura costruttiva, questo tipo di strumenti assumeva nelle varie culture denominazioni diverse: nella Grecia antica prendeva il nome di aulòs, mentre nella cultura etrusca era chiamato subulo e nell’antica Roma assunse il nome di tibia.

Nello sviluppo successivo dell’oboe una parte fondamentale giocò, molti secoli dopo, lo zamr (o zurna) arabo, che con l’espansione dell’Islam fu introdotto in Europa, dove assunse le più diverse denominazioni: in Germania era chiamato Walsh rôr, in Francia chelemie e in Italia cialamello o ciaramella.

Verso la meta del ‘600 iniziò la trasformazione del cialamello nel vero e proprio oboe: fu eliminata l’incapsulatura dell’ancia, permettendo così all’esecutore un maggior controllo sul suono e sull’intonazione. I primi esemplari del nuovo strumento comparvero in Francia e furono denominati hautbois (haut bois, alto legno, cioè strumento di legno dal suono alto e brillante), da cui deriva, attraverso la denominazione arcaica di oboé, il nome italiano oboe. Questo oboe barocco aveva un’estensione di due ottave, dal Do3 al Do5, era munito di due sole chiavi ma era già in grado di eseguire tutta la scala cromatica.

L’oboe assunse una struttura tecnica simile a quella attuale intorno al 1870, quando F. Lorée riuscì a adattare all’oboe le rivoluzionarie innovazioni tecniche che Th. Böhm aveva ideato per il flauto. Lorée aumentò il numero delle chiavi, compì studi approfonditi riguardo alla dimensione e alla distanza tra i fori e produsse uno strumento che nelle sue linee essenziali non è più stato modificato fino ai giorni nostri. Le innovazioni progettate da Lorée permisero di ampliare l’estensione dello strumento fino all’attuale (da Sib2 a Sol5), resero possibile l’esecuzione di passaggi sempre più complessi e, insieme al contemporaneo utilizzo di tipi di legno sempre più pregiati, contribuirono ad un progressivo miglioramento del suono e dell’intonazione.

L’oboe moderno

L’oboe moderno è costruito normalmente in legno d’ebano e si compone essenzialmente di quattro parti: l’ancia, di cui parleremo più diffusamente in seguito, il pezzo superiore, il pezzo inferiore e la campana. L’oboe presenta una cameratura interna caratterizzata da una forte conicità, passando in modo graduale da un diametro di circa 3 mm all’imboccatura ai circa 37 mm della campana. La conicità della cameratura è, insieme alla forma dell’imboccatura, la componente della struttura costruttiva dello strumento che più determina la qualità timbrica del suono e che differenzia in modo decisivo il suono dell’oboe da quello del clarinetto, strumento apparentemente simile ma dotato di cameratura cilindrica.

I fori che si trovano sul corpo dello strumento consentono all’esecutore di ottenere, aprendoli e chiudendoli in diverse combinazioni, tutte le note di cui lo strumento dispone. L’apertura di un foro sul corpo dello strumento, infatti, comporta una diminuzione della lunghezza della colonna d’aria, producendo un suono di intonazione più alta. Per agevolare questa operazione l’oboe moderno possiede dei meccanismi di apertura e chiusura dei fori, chiamati chiavi, che consentono, da un lato, di agire con lo stesso dito su più fori contemporaneamente e dall’altro di raggiungere, senza un eccessivo spostamento delle mani, i fori situati ad una maggiore distanza dalle dita.

L’ancia

Costruzione e lavorazione dell’ancia

Gli strumenti a fiato si possono suddividere, per quanto riguarda l’imboccatura, in tre diversi gruppi: gli strumenti a bocchino (tromba, trombone, corno), nei quali l’emissione del suono è il risultato della vibrazione delle labbra dell’esecutore; gli strumenti a imboccatura naturale (flauto traverso, flauto dolce), nei quali il suono è prodotto dalle vibrazioni provocate del frangersi dell’aria contro uno spigolo; gli strumenti ad ancia, che producono il suono utilizzando la vibrazione di sottili lamelle di canna.

Gli strumenti ad ancia, a loro volta, si differenziano in strumenti ad ancia semplice, che utilizzano una sola lamella di canna fissata su di un bocchino (clarinetti, saxofoni) e strumenti ad ancia doppia (oboe, corno inglese, fagotto). Nell’oboe il suono è prodotto dalla vibrazione di due lamelle che, con particolari accorgimenti, vengono tenute accostate l’una all’altra in modo che rimanga tra loro una fessura per consentire il passaggio del fiato ed assottigliate quanto basta perché possano vibrare nella maniera adeguata.

La costruzione e la lavorazione dell’ancia sono a tutt’oggi affidate alla cura ed all’esperienza dell’oboista, che ne adatta le caratteristiche alle proprie esigenze fisiologiche ed alla propria sensibilità, modificandone i parametri costruttivi fino a quando la sonorità risultante non soddisfi pienamente i suoi gusti musicali.

Le fasi della lavorazione dell’ancia si possono riassumere in:

  1. sgorbiatura, che consente di ottenere dal tubo di canna grezzo una sottile lamella;
  2. piegatura a metà, di modo che i due bracci risultanti rimangano appaiati;
  3. forma, che riduce la lamella alle dimensioni desiderate;
  4. legatura, che consiste nell’accostare le due estremità libere della lamella e nel fissarle al ramello;
  5. taglio trasversale dell’altra estremità della lamella ripiegata, in modo da ottenere due lamelle identiche appaiate e fissate al ramello;
  6. tempera, che riduce le due estremità superiori dell’ancia, divenuta doppia dopo il taglio trasversale, allo spessore adeguato.

E’ a questo punto che inizia la fase più delicata ed impegnativa, che consiste nell’effettuare sull’ancia quei piccoli ma decisivi ritocchi che, alternati a continue verifiche della sonorità, trasformeranno a poco a poco le lamelle di canna in un duttile strumento capace di produrre le più varie sfumature dell’espressione musicale. Dunque l’oboista è ancora oggi musicista e nello stesso tempo fine artigiano perché, oltre all’abilità esecutiva ed alla sensibilità musicale, deve possedere una conoscenza il più possibile approfondita della tecnica necessaria per creare e per perfezionare l’ancia.

La famiglia dell’oboe

Il corno inglese

Il corno inglese è uno strumento di dimensioni maggiori rispetto a quelle dell’oboe e produce suoni di una quinta più bassi. Nato intorno alla metà del 1700, il corno inglese aveva in origine una forma ricurva ad ampio raggio per permettere all’esecutore di agire con le dita della mano destra sui fori situati all’estremità inferiore e che, date le dimensioni dello strumento, sarebbero stati irraggiungibili con una conformazione perfettamente diritta. . Questa forma era però costosa e difficile da ottenere: per la foratura si doveva tagliare il fusto a metà per il lungo, scavare la cameratura nei due pezzi indi riunirli nuovamente. Si penso allora di semplificarne la fabbricazione dividendo lo strumento in due pezzi diritti, prossimale e distale, riuniti mediante un’angolatura, analogamente al corno di bassetto. Solo verso la fine dell’800 lo strumento assunse la forma attuale, molto simile a quella dell’oboe, costituita da un tubo diritto nel quale il problema della maneggevolezza è risolto adottando un prolungamento metallico dell’imboccatura, di forma ricurva e chiamato "esse", sul quale si innesta l’ancia. Lo strumento moderno presenta la caratteristica forma sferica della campana, che contribuisce a renderne la sonorità più piena e meno penetrante.

Incerta è l’etimologia del nome di questo strumento, che per quel che riguarda il sostantivo "corno" fa senz’altro riferimento alla forma arcuata che lo strumento aveva alle sue origini, mentre l’aggettivo "inglese" è probabilmente il risultato di una deformazione linguistica che ha trasformato l’originale termine francese "cor anglé" (corno angolato) in "Cor Anglais" (Corno inglese, appunto).

Il suono dolcissimo e un Po’ malinconico del corno inglese è stato ampiamente utilizzato dai compositori dall’inizio dell’800 ad oggi per caratterizzare una grande quantità di situazioni espressive, che vanno dalla rievocazione naturalistica e pastorale della Sinfonia del Guglielmo Tell di G. Rossini e del Tristano e Isotta di R. Wagner alla più lirica cantabilità del Signor Bruschino di G. Rossini e del Carnevale Romano di H. Berlioz, dalla pacata solennità della Sinfonia "Dal nuovo mondo" di A. Dvorak alla nostalgica malinconia dell’Otello di G. Verdi.
 
 

L’oboe d’amore

L’oboe d’amore, di dimensioni intermedie tra quelle dell’oboe e quelle del corno inglese, ha un’estensione di un tono e mezzo più bassa di quella dell’oboe e presenta, così come il corno inglese, la campana di forma sferica.

Il suono dolce e vellutato dell’oboe d’amore fu apprezzato soprattutto dai musicisti dell’epoca barocca, che lo utilizzarono in numerosi brani sia solistici che orchestrali: notevolissimo a questo proposito l’uso che di questo strumento ha fatto J. S. Bach, che gli ha affidato un gran numero di passaggi solistici nelle sue composizioni.

L’oboe d’amore fu pressoché dimenticato per tutto l’800 e solo nel nostro secolo alcuni compositori se ne sono nuovamente interessati, dedicandogli alcuni importanti assoli orchestrali (M. Ravel: Bolero, R. Strauss: Sinfonia Domestica).

Altri strumenti della famiglia dell’oboe

La famiglia dell’oboe comprende anche altri strumenti il cui utilizzo è molto raro e si può dire limitato alla musica del nostro secolo. Tra questi possiamo citare l’heckelphon, inventato all’inizio del ‘900 dai fratelli Heckel, che produce suoni di un’ottava più bassi rispetto all’oboe e che è stato utilizzato da R. Strauss in alcune sue partiture (Salomé, Elektra), e la musetta, una sorta di oboe piccolo, che compare in alcune composizioni di B. Maderna. Altri strumenti, come l’oboe baritono, l’oboe basso o l’oboe contrabbasso, furono solo effimere invenzioni di qualche volonteroso costruttore ma non hanno in pratica mai avuto alcun utilizzo da parte dei compositori.
 
 

Letteratura e caratteristiche espressive


L’oboe in orchestra

Cenni storici

L’uso dell’oboe come parte integrante dell’orchestra risale alla fine del ‘600, quando era utilizzato, al pari degli altri strumenti a fiato, soprattutto per rinforzare la sonorità degli archi nei passaggi in "forte". Solo nella prima metà del ‘700 all’oboe cominciarono ad essere affidate parti autonome, ed in molti casi quasi solistiche, di pari passo con il miglioramento delle tecniche costruttive ed esecutive in atto a quell’epoca: J. S. Bach, più di tutti, comprese le possibilità espressive dell’oboe, utilizzandolo come strumento concertante in numerose composizioni.

La seconda metà del ‘700 vide una temporanea diminuzione dell’importanza degli strumenti a fiato nell’orchestra, ridotti di numero (spesso soltanto a due oboi e due corni) e utilizzati prevalentemente per l’esecuzione di parti di ripieno e di puro sostegno armonico.

Solo con i primi anni dell’800 il ruolo degli strumenti a fiato assunse un maggior rilievo nelle scelte strumentali dei compositori, che ne incrementarono sia il numero nell’organico orchestrale (fino a raggiungere nelle sinfonie di G. Mahler organici con più di 40 strumentisti a fiato), sia la loro funzione espressiva, assegnando loro parti di sempre maggiore complessità tecnica e di sempre più marcato interesse musicale.

L’organico orchestrale prevede normalmente la presenza di due o tre oboi e di un corno inglese, utilizzati sia per l’esecuzione di importanti e ben caratterizzati assoli, sia in svariate combinazioni timbriche con gli altri fiati, ponendosi come strumenti insostituibili nella moderna orchestra sinfonica.

Utilizzo espressivo dell’oboe

Se si consulta un’enciclopedia musicale o un qualsiasi testo scolastico, si noterà la diffusa tendenza a caratterizzare l’oboe come uno strumento adatto prevalentemente a sottolineare o ad evocare atmosfere e ambientazioni pastorali. Questa limitazione, che appare come un’evidente sottovalutazione delle possibilità espressive dell’oboe, è presente nella maggior parte della trattatistica su questo strumento, ma per fortuna è stata pressoché ignorata nella pratica da tutti i compositori nelle loro scelte strumentali.

In realtà, nella storia della musica, l’utilizzo dell’oboe per l’evocazione di sonorità agresti è limitato a pochi, sia pur caratteristici, esempi (L. v. Beethoven, Sinfonia Pastorale; H. Berlioz, Sinfonia Fantastica; M. Ravel, Dafne e Cloe).

La gamma di situazioni espressive ed emotive che i compositori hanno affidato al suono dell’oboe è invece quanto mai varia e diversificata: dall’espressività nobile e quasi religiosa del Concerto per Violino di J. Brahms alla luminosa briosità della Scala di seta e dell’Italiana in Algeri di G. Rossini, dalla cantabilità romantica ed appassionata del Lago dei Cigni di P. I. Ciaikowskij alla lamentosa solennità della Marcia funebre della Sinfonia eroica di L. v. Beethoven; ed ancora possiamo citare l’esotismo vagamente arabeggiante dell’Aida di G. Verdi o la tenera semplicità dell’Andante della Quarta Sinfonia di P. I. Ciaikowskij, la rievocazione di sonorità barocche delle Tombeau de Couperin di M. Ravel e del Pulcinella di I. Stravinskij o le sonorità evanescenti ed impressioniste della Mer di C. Debussy.
 
 

L’oboe solista

Il periodo Barocco

Il periodo storico che va dalla fine del ‘600 alla metà del secolo successivo, è stato forse quello che ha visto l’oboe al massimo del suo splendore. In questo periodo, infatti, l’oboe era probabilmente il più utilizzato tra gli strumenti a fiato, contendendo al violino il ruolo di strumento solista per eccellenza.

Tutti i compositori più importanti dell’epoca, da Vivaldi a Händel, da Albinoni a Telemann dedicarono all’oboe una grandissima quantità di composizioni: concerti per uno o due oboi e orchestra, sonate per oboe e basso continuo, sonate in trio e musica da camera nelle più diverse formazioni strumentali.

Tale e tanta fu la fortuna dello strumento nell’epoca barocca, che nei secoli successivi il suono dell’oboe è rimasto in un certo modo associato ad una dimensione storica un po’ "antica", tanto che ancora oggi quando, in una colonna sonora o nella musica leggera, si vuole richiamare alla mente dell’ascoltatore quella particolare stagione storica, si ricorre in maniera sistematica al suono di questo strumento.

Il periodo classico e romantico

Nel periodo successivo, da metà ‘700 alla fine dell’800, l’oboe conosce un lento e progressivo declino come strumento solista ed il suo ambito di utilizzo prevalente diviene sempre più l’orchestra. Dopo i concerti di F. J. Haydn e di W. A. Mozart, scritti intorno alla fine del ‘700, praticamente nessun compositore importante del secolo successivo scrisse concerti o sonate per oboe, e si deve aspettare l’inizio del ‘900 per veder rinascere una consistente letteratura per il nostro strumento.

In ragione di quanto affermato sopra, probabilmente l’oboe si caratterizzava in modo troppo esplicito come strumento "barocco" e questo, nell’estetica dell’800 romantico, era in contrasto con quell’ideale di "musica nuova" che caratterizzava le scelte strumentali dei compositori: all’oboe venne sempre di più preferito come strumento solista il clarinetto, strumento all’epoca di recentissima invenzione e quindi per ciò stesso immune da qualsiasi connotazione "arcaica".

Tra le poche composizioni per oboe solista di quest’epoca possiamo citare le Tre Romanze per oboe e pianoforte di R. Schumann e il Capriccio di A. Ponchielli.

Il Novecento

All’inizio del ‘900, nell’ambito di quella tendenza antiromantica che ha caratterizzato questo periodo della cultura musicale europea, proprio gli strumenti a fiato, che in epoca romantica avevano conosciuto una certa sottovalutazione, appaiono ora come gli strumenti "nuovi" per eccellenza, il cui timbro strumentale si presenta meno associato agli ideali estetici del Romanticismo ottocentesco. Questi strumenti vengono così sempre più rivalutati nelle proprie potenzialità solistiche, ed è in questo contesto che anche musicisti di grande rilievo storico come C. Saint-Säens, P. Hindemith, F. Poulenc, B. Britten, D. Milhaud e R. Strauss dedicarono all’oboe importanti composizioni.

Il maggior utilizzo dell’oboe come strumento solista ha portato con sé come diretta conseguenza un enorme ampliamento delle sue possibilità tecniche, consentendo ai compositori di affidargli passaggi musicali che erano prima considerati di impossibile esecuzione.

La musica contemporanea

Negli ultimi decenni si è assistito a un massiccio utilizzo, da parte dei compositori d’avanguardia, di nuove tecniche strumentali, che hanno forzato la natura timbrica dell’oboe sospingendolo in ambiti esecutivi prima sconosciuti. Le tecniche strumentali che più hanno incontrato i favori dei compositori si possono riassumere in:

i suoni frullati, ottenuti pronunciando la lettera "r" durante l’emissione del suono e producendo un effetto simile al tremolo degli strumenti ad arco;
i suoni multipli, ottenuti con particolari diteggiature che consentono l’esecuzione di due o più suoni contemporaneamente, anche se di intonazione e di sonorità incerte;
il doppio staccato: rapidissima alternanza del colpo di lingua e del colpo di gola (ta-ka) che permette l’esecuzione di staccati velocissimi;
il glissato, che si ottiene aprendo o chiudendo i fori dello strumento in modo il più possibile graduale, producendo una sorta di scivolamento verso l’alto o verso il basso dell’intonazione;
i suoni armonici, che si ottengono con speciali diteggiature, producendo una sonorità particolarmente tenue ed evanescente;
i quarti di tono: suoni intermedi tra le note della normale scala cromatica che vengono eseguiti con particolari diteggiature.

Tra i più importanti brani che fanno uso di queste tecniche possiamo citare il Capriccio per oboe e archi di K. Penderecki e la Sequenza VII per oboe solo di L. Berio.